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Anno XXXV - n. 4 - dicembre 2010 

 

 

Raniero La Valle

 

 

Paradiso e libertà

L'uomo, quel Dio peccatore

 

Ponte alle Grazie, Milano 2010 – pp. 230

 

 

Leggere Raniero La Valle, indimenticato narratore della vicenda del Concilio Vaticano II negli anni ormai lontani del suo svolgersi, è sempre un piacere e un motivo di arricchimento, non solo per lo stile della scrittura che sa coinvolgere emozionalmente l'interlocutore, ma soprattutto per l'incontro con un pensiero altro, mai scontato e sempre fiammeggiante. Nel suo libro “Paradiso e libertà” sono affrontati temi antropologici e teologici innovativi: l'esigenza di un modo nuovo di pensare Dio e il suo rapporto con l'uomo, il senso della Chiesa e del suo inserimento nel mondo. Ma quello che sopra tutti mi pare cruciale e dominante è il tema della libertà.

Qual è la cosa che distingue l'uomo dalle altre creature? Per l'autore è proprio la libertà. In ciò consiste l'essere fatto a immagine di Dio: l'uomo può fare il male, ma può anche gareggiare con Dio nell'amore. La Valle non interpreta il limite umano, il dolore, come conseguenze del peccato originale, ma come connotati e doni della natura stessa, perché l'uomo è artefice  del proprio destino e deve prendersi le proprie responsabilità per il riscatto della società contemporanea colpita dalla crisi dei valori. Non si salva l'anima se non si grida per gli oppressi.

Il titolo del volume fa riferimento ad una decretazione bolognese medioevale che aveva restituito ai  servi la libertà e che nella sua espressione cartacea era chiamata “Libro Paradiso”. Un riferimento dalla forte valenza simbolica: il Paradiso è il luogo dove gli uomini vengono a libertà Ma “se il Paradiso è libertà, perché lì abita Dio la cui immagine è la libertà, allora ogni volta che sono stati liberati dei prigionieri,.. che hanno acquistato diritti gli operai, che sono uscite le donne dalle mani di padri e padroni,.. e ogni volta che sono state scritte le Costituzioni, e che si è dato mano ad attuarle, e le si sono difese contro i loro eversori, e quando il costituzionalismo ha fatto concepire anche altre, ulteriori conquiste, allora si è stabilito un pezzo di paradiso in terra; e ogni volta che questo accade, si accorciano le distanze tra i due paradisi, e l'uomo, se è divino, può trovarsi a casa sua in ambedue le città” (p. 29).

Nel libro emerge anche l'incontenibile grandezza dell'amore dell'uomo e della donna. Ricorda La Valle in un'intervista a Maurizio Chierici riportata nel suo blog, che nell'Aida il prode capitano egiziano prorompe, rivolgendosi all'amata, nel celebre canto: “Celeste Aida, forma divina...”; che nell'Iliade la bella Elena viene chiamata “divina”; e che anche nel Cantico dei Cantici l'amore tra quell'uomo e quella donna è detto “fiamma di Dio”. Non si tratta di espressioni iperboliche: nel linguaggio proprio delle relazioni umane come in quello della teologia, “celeste” significa che l'amore umano appartiene alla sfera che è propria di Dio. Il fatto che in esso, e specificamente nell'amore di coppia, Dio sia implicato con una sua presenza reale e non solo come metafora, trova riscontro in tutta la tradizione biblica e, come è stato ricordato, soprattutto nel Cantico dei Cantici che è il più bel libro della Bibbia, nel quale è evidente che l'amore non consente agli amanti di restare in se stessi e si fa segno dell'amore estatico di Dio, per cui Egli si svuota e trabocca negli uomini e li trascina fuori dal loro limite umano (p. 13).

Battista Borsato

   
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